Il Giardino Giapponese
Il giardino giapponese nasce dall’arte del giardino cinese che, entrata nel paese del sol levante, viene rielaborata e sviluppata secondo forme e canoni originali.
L’influenza cinese si manifesta in epoche remote con la geomanzia, secondo la quale gli oggetti, ed in particolare le pietre, possono influenzare l’energia di un luogo in base alla loro collocazione.
Le pietre e la loro disposizione assumono così enorme importanza nel giardino giapponese, tanto che nasce la figura di monaci dediti unicamente all’arte di seguire il desiderio della pietra mentre la si pone.
Dalla Cina proviene poi la concezione della sacralità della natura che è abitata dai Kami, presenze vive che si trovano in ogni cosa.
Il giardino, incorniciando la natura, permette così di avvicinarsi alla fonte e alla meraviglia del mondo.
C’è infine l’influenza del buddhismo che fondendosi allo shintoismo locale fa del giardino un luogo simbolico, una forza spirituale ed un ausilio concreto alla contemplazione.
Il monaco e creatore di giardini Musō Soseki arriva quindi ad affermare che chi distingue fra il giardino e la pratica buddista, non ha trovato la vera via.
Quindi, il giardino giapponese non è mai progettato per acquisire una bellezza solo decorativa: la bellezza è sempre funzionale in senso spirituale.
E’ fondamentale a questo riguardo il sentiero, che determina la maniera in cui il giardino viene sperimentato.
Percorrere il sentiero è una pratica religiosa performativa, richiede umiltà e abbandono consapevole.
Lo scopo è quello di elevarsi al di sopra dei pensieri ordinari avvicinandosi all’ideale buddhista dell’ ”oltre la mente”.
L’obiettivo è quindi quello di far nascere l’armonia fra uomo e ambiente, fra il se è l’altro da sé.
Con il buddismo zen, il giardino visto come strumento di elevazione spirituale, diviene inaccessibile e raggiunge elevatissimi livelli di astrazione.
Grazie al Mitate-e, cioè alludere a qualcosa usandone un’altra, una roccia evoca una montagna o un animale, una distesa di sabbia rappresenta il mare.
Ciò che vediamo, quindi, dipende prima di tutto da noi stessi esattamente come nell’arte astratta moderna.
E’ il famoso Karesansui, il giardino zen per antonomasia, in cui la mente viene spinta a liberarsi dal corpo per giungere ad una conoscenza profonda che vada oltre l’aspetto apparente delle cose.
Nel giardino giapponese si trovano poi i portali shintoisti, simbolo del varcare la soglia della comprensione, i ponti, figura del passaggio verso l’illuminazione, la terrazza per ammirare la luna attraverso il suo riflesso sull’acqua, simbolo dell’impossibilità di vedere chiaramente la realtà.
C’è poi il giardino da tè, improntato all’estetica del wabi-sabi che valorizza l’imperfezione naturale, l’impermanenza e la fugacità della bellezza.
Si tratta di elementi di grande poeticità e raffinatezza che hanno fatto dire all’architetto Tadao Ando che l’arte del giardino rappresenta l’apogeo delle arti figurative in Giappone.