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Palmieri Studio

Potatura e benessere degli elementi vegetali

La potatura non fa bene alle piante. Contrariamente a quanto creduto, potare le piante non è necessario per garantirne il benessere ed evitare che possano ammalarsi.

Piante che crescono allo stato naturale infatti vivono molto più a lungo di piante che siano invece sottoposte ad interventi di manutenzione da parte dell’uomo, soprattutto se questi sono eseguiti ignorando le esigenze delle piante e i loro meccanismi di difesa.

Quindi la potatura fa male alle piante, deve essere eseguita solamente in caso di necessità e comunque tenendo in considerazione la fisiologia di alberi ed arbusti.

Perché la potatura stressa le piante

Ci sono almeno tre ragioni per cui la potatura invecchia e stressa piante ed alberi.

La prima ragione è quella dell’asportazione delle foglie. Anche se la potatura viene effettuata in inverno quando le piante decidue non hanno foglie, in realtà asportando i rami noi eliminiamo anche le gemme da cui in primavera spunterà il nuovo fogliame.

Una pianta potata avrà quindi meno foglie da cui trarre il proprio nutrimento attraverso la fotosintesi, con le conseguenti difficoltà date dalla carenza di nutrimento che ciò comporta. Questo spiega il perché piante potate drasticamente presentano un fogliame di dimensioni molto maggiori del normale: è il tentativo della pianta di aumentare la superficie fotosintetizzante con foglie più grandi dal momento che sono in numero più esiguo.

Inoltre eliminando rami e branche si eliminano anche le riserve dell’albero accumulate sotto forma di amido nel legno che viene asportato.

Una seconda ragione è data dal fatto che la rimozione dei rami comporta sempre la conseguente sofferenza dell’apparato radicale. Infatti esiste una corrispondenza diretta fra chioma e radici. Ogni ramo fornisce zuccheri complessi prodotti nelle foglie ad un gruppo di radici e, viceversa, ogni gruppo di radici rifornisce un ramo specifico di elementi minerali ed acqua. A seguito del taglio di alcuni rami quindi, le radici corrispondenti si troveranno private della loro fonte di sostentamento e deperiranno.

La terza e forse più importante ragione per cui la potatura indebolisce la pianta è data dalla necessità di richiudere ogni taglio da noi inferto, al fine di evitare l’ingresso di patogeni ed in particolare di funghi cariogeni all’interno del legno. La pianta reagisce andando ad isolare ogni ferita, costruendogli intorno una barriera protettiva che la isoli dal resto dell’organismo.

Ciò ha a che fare con i meccanismi di protezione che gli elementi vegetali mettono in atto per potersi difendere senza essere però in grado di spostarsi.

Infatti tutte le funzioni vitali nelle piante sono distribuite, per cui danneggiando una parte del loro organismo esse non muoiono, come invece accade agli animali se si danneggia irrimediabilmente un determinato organo.

Le piante infatti possono essere definite come organismi compartimentati a crescita continua.

Esse non possono rigenerare i tessuti danneggiati, come accade nel caso degli animali. Possono però isolarli dal resto del loro organismo insieme ai patogeni che li hanno attaccati: ecco perché sono definite organismi compartimentati.

Questo meccanismo di difesa può essere compreso facendo l’esempio di un sommergibile, i cui compartimenti stagni isolano le eventuali falle creatisi nello scafo. Alla stessa maniera, la pianta reagisce agli attacchi andando a creare delle barriere che separano la parte danneggiata dal resto dell’organismo, impedendo ai parassiti di diffondersi al loro interno.

I vegetali possono anche creare nuove parti del loro organismo per sostituire quelle ormai abbandonate, da cui la definizione di esseri a crescita continua. Attraverso la generazione di nuove parti, una pianta può essere assimilata più ad una colonia di organismi che non ad un organismo unitario come nel caso degli animali. Perciò l’insieme modulare di parti relativamente autonome fa sì che la pianta sia un pluri-essere dalla durata di vita virtualmente illimitata.   

Esistono quattro tipi di barriere che vengono create per contenere un patogeno.

La prima impedisce ai parassiti di muoversi verticalmente, andando ad occludere i vasi attraverso cui scorre normalmente la linfa.

La seconda e la terza barriera impediscono il movimento in direzione radiale e tangenziale all’interno del tronco e dei rami, grazie alla produzione di sostanze repellenti e che induriscono il legno, come i tannini. Il legno viene cioè impregnato di sostanze nocive per i parassiti, isolato e lasciato morire.  

L’ultima barriera, la più efficace, è quella formata dalla pianta all’esterno: gradualmente viene a formarsi un callo di cicatrizzazione che richiude la ferita dai bordi fino al centro, completando così la parcellizzazione della zona attaccata.

Nel corso del tempo quindi, la zona danneggiata, ormai completamente isolata, resterà all’interno del tronco della pianta e lasciata in disparte. Ma ciò non deve trarre in inganno: il contenimento dei patogeni non implica la loro distruzione (le piante non hanno un sistema immunitario che possa generare anticorpi) e l’isolamento della zona danneggiata non significa la sua guarigione.

Quindi è sempre buona norma evitare di causare ferite e traumi alle piante.

Per attivare le barriere protettive di cui dispone, la pianta deve evidentemente utilizzare energia.

Piante giovani reagiranno quindi più prontamente di quelle mature, e piante sane sapranno difendersi meglio di altre già indebolite da precedenti attacchi.

Per questo in generale piante giovani tollereranno interventi di potatura più marcati, mentre piante senescenti avranno difficoltà a sopportare anche potature limitate. In ogni caso però, in condizioni normali, la potatura di un albero adulto e in buone condizioni vegetative non dovrebbe asportare più del 30% della superficie fogliare complessiva.

Un caso estremo: la capitozzatura

Tutto questo non significa che le piante non debbano mai essere potate. Si può potare se esistono ragioni precise per farlo, come ad esempio per stimolare la produzione di frutti in agricoltura, oppure per ragioni estetiche come ad esempio indurre una seconda fioritura. 

Bisogna però sapere in ogni caso che con la potatura stiamo causando alla pianta una sofferenza di cui essa farebbe volentieri a meno.

Ciò è particolarmente vero nel caso della capitozzatura.

La capitozzatura è una potatura drastica che asporta tutta la chioma di un albero, lasciando intatti unicamente il tronco e le branche principali. La pianta capitozzata sarà quindi completamente spoglia e presenterà ferite di grandi dimensioni in corrispondenza dei rami asportati di diametro maggiore.

I danni causati dalla capitozzatura sono molteplici e gravi.

Prima di tutto, la pianta capitozzata è irrimediabilmente deturpata dal punto di vista estetico. Per quanto ci si sforzi di ridarle equilibrio ed armonia, non si riuscirà mai a restituirle il portamento originario.

Poi, le ampie ferite causate costituiranno una via di accesso preferenziale per patogeni molto pericolosi, quali i funghi che sono causa della carie del legno. La pianta infatti non sarà in grado di richiudere tagli troppo estesi, permettendo così ai funghi cariogeni di penetrare all’interno del tronco e dei rami e di cominciare la loro inesorabile opera di disgregazione del legno. Questo causerà nel tempo profonde cavità all’interno dell’albero, che ne pregiudicheranno seriamente la stabilità futura fino a portare alla necessità dell’abbattimento per motivi di sicurezza.

La pianta che ha subìto una capitozzatura, dovrà poi dar fondo a tutte le proprie riserve energetiche per richiudere i tagli e dar vita ad una grande quantità di nuovi rami e foglie, necessari alla sua sopravvivenza. Quindi, contrariamente alla vulgata propalata da personaggi incompetenti, alcuni dei quali purtroppo addetti ai lavori, la grande vivacità con cui un albero capitozzato dà vita a nuove foglie non costituisce una prova dell’effetto rinvigorente della potatura drastica, bensì è il segno del disperato tentativo della pianta di ricostituire una superficie fogliare sufficiente a mantenerla in vita.

Una pianta capitozzata sarà quindi indebolita e maggiormente soggetta all’insorgenza di altre malattie, fino a sprofondare in un’inesorabile spirale di deperimento.

Infine, i numerosi rami emessi, definiti comunemente ‘scopazzi’, saranno in gran parte originati da gemme avventizie a cui la pianta ricorre in casi di estrema necessità.

Saranno quindi rami innestati sulle branche in maniera molto superficiale per cui, una volta accresciuti, costantemente a rischio di caduta. È qui che va ricercata spesso la causa prima delle frequenti cadute di rami dagli alberi soprattutto delle nostre città.

Quindi una pianta capitozzata sarà in pratica irrecuperabile dal punto di vista estetico, sarà indebolita e necessiterà per tutta la vita di interventi mirati ad evitare cadute di rami.

Per cui la capitozzatura, come accade spesso per pratiche che permettono di conseguire un risparmio immediato, risulta essere in realtà fonte di problemi, rischi e costi elevatissimi nel medio periodo, oltre ad essere la maggiore causa di depauperamento del nostro patrimonio vegetale.

Come potare le piante in giardino

Dopo aver compreso che la potatura è in ogni caso un intervento traumatico per la pianta, possiamo chiederci come bisogna potare le piante se questo è richiesto. 

Innanzitutto possiamo distinguere due tipi principali di potatura sulla base del periodo in cui viene effettuata: la potatura estiva e la potatura invernale.

Durante l’estate, nei mesi di luglio ed agosto, è possibile praticare la cosiddetta potatura verde.

La potatura verde consiste nel rimuovere i polloni e i succhioni, ovvero i ricacci alla base del tronco, lungo di esso ed al centro della chioma della pianta che sono ancora verdi, ovvero che non hanno ancora lignificato.

Effettuare la potatura verde farà sì che poi, quando andremo ad effettuare la potatura principale alla fine dell’inverno, avremo molta meno vegetazione da rimuovere e quindi la pianta subirà uno stress minore.

Inoltre l’estate è il periodo ideale per potare le piante sensibili ai tagli.

Nonostante nei mesi più caldi esse siano in riposo vegetativo, in estate le piante sono al massimo del proprio livello energetico.

Infatti esse sono reduci dal periodo primaverile, in cui la fotosintesi avviene in maniera molto efficace e permette un surplus nella produzione di zuccheri complessi rispetto alle esigenze vitali del loro metabolismo.

In questi mesi esse avranno quindi riserve da dedicare alla chiusura dei tagli senza comprometterne l’equilibrio energetico.

Inoltre la ripresa vegetativa dell’autunno permette di avviare immediatamente i meccanismi che portano all’instaurazione delle barriere protettive senza dover attendere due o tre mesi. Questo fa sì che, per piante che faticano a chiudere le ferite come ad esempio tutte le drupacee (peschi, prugni, albicocchi, ecc.), l’estate sia il periodo migliore in cui andare ad effettuare la potatura.

La fine dell’inverno è però, in generale, il momento più adatto alla potatura, poiché le piante sono nel loro periodo di massimo riposo vegetativo.

La prima accortezza da avere, è quella di potare soltanto alla fine dell’inverno, quando i freddi più intensi siano ormai passati. Una potatura troppo anticipata infatti, soprattutto nel caso di inverni piuttosto miti come accade sempre più frequentemente, può avere l’effetto di stimolare il ricaccio di nuovi germogli da parte della pianta, col rischio che gelate tardive possano poi danneggiarla seriamente.

Ma come bisogna potare?

Prima di tutto non bisogna mai effettuare potature drastiche, sia per non mettere a rischio la salute della pianta, sia per evitare di asportare rami che, in primavera, avrebbero dato vita a nuovi fiori. 

Infatti, bisogna sapere che esistono piante che fioriscono sui rami emessi nel corso della stessa stagione, e richiedono quindi meno accortezze, piante che fioriscono sui rami dell’anno precedente, ed altre ancora che fioriscono sui rami di due o più anni. 

Quindi, potando in maniera eccessiva ed allo stesso modo tutte le piante, rimuoveremo sicuramente rami che avrebbero generato la fioritura da noi desiderata.

Non è però facile, se non per esperti, conoscere tutte le piante e la loro modalità di fioritura, nonché l’età dei vari rami.      

È quindi buona norma limitare la potatura ad interventi mirati e, a prescindere dal tipo di pianta, saper riconoscere la differenza fra gemme a fiore e gemme a legno.

Le gemme a fiore sono più piene ed arrotondate, e daranno vita in primavera a foglie e fiori, che si trasformeranno poi in frutti.

Le gemme a legno invece sono più strette, dal momento che non contengono il fiore in embrione, e daranno vita solo a foglie e rami. Saper distinguere fra i due tipi di gemme ci permetterà quindi di lasciare quelle a fiore, per non pregiudicare la fioritura o la produzione di frutti, rimuovendo solo porzioni di rami che presentino gemme a legno.     

Quindi imparando ad osservare le piante e rispettandole con interventi delicati, tutti possono essere in grado di potare e prendersi cura degli elementi vegetali del giardino senza danneggiarli.